Una minaccia in crescita rapida: sempre più diffusa, specializzata, efficiente e raffinata. Da manipolo di disperati, molti anni fa, la criminalità rumena in Italia è diventata oggi un fenomeno seriamente pericoloso. Altro che lavavetri: il motivo principale del pacchetto-sicurezza, in discussione nel governo in queste ore, è non solo la micro-criminalità, ma soprattutto ciò che sta dietro. I malviventi rumeni fanno paura non tanto per la violenza, pari ormai a quella spietata degli albanesi, ma anche perchè stanno riqualificando e diversificando il loro business criminale. E sono presenti ovunque.
Le ultimi analisi del Ros Carabinieri, della Polizia di Stato, della Dia, di Sismi e Sisde e della Guardia di Finanza, convergono su questo scenario. Il Viminale perciò ha moltiplicato l'azione di contrasto. Da gennaio 2006 a giugno 2007 ci sono stati 76 casi di denunce e arresti per omicidio volontario; 475 per violenza sessuale; più di 20mila per furto e 5.860 per rapina; 1.446 casi di truffe e frodi informatiche; 691 di sfruttamento della prostituzione e pornografia minorile. Gli accordi e gli scambi tra l'Italia e il ministero dell'Interno di Bucarest sono continui, quasi frenetici. Una squadra di poliziotti rumeni è in Italia così come uomini delle nostre forze dell'ordine sono inviati periodicamente a Bucarest.
Aggressività a tutto campo
La malavita rumena, intanto, studia per diventare la prima tra i gruppi etnici criminali in Italia.
Probabilmente lo è già. Agisce su due livelli: quello, diventato capillare, della microcriminalità; e l'altro, più redditizio, delle associazioni per delinquere. L'organizzazione è il modello vincente. E i criteri aziendali, applicati all'azione delittuosa, sono la regola. Gli affari sull'immigrazione illegale, per esempio - impossibili senza un gruppo coordinato di gestione – si moltiplicano: diventano sfruttamento della prostituzione, racket di minori, caporalato, tratta di esseri umani, traffico di badanti. La truffa informatica – i rumeni sono i maestri del settore – si esibisce non solo nella clonazione e contraffazione di bancomat e carte di credito, ma si spinge fino al phlashing, la creazione di siti bancari falsi.
Il salto di qualità
Dall'offensiva militare alla tessitura abile e paziente di alleanze: è così che i rumeni si sono consolidati in Italia. Il lavoro delle forze di polizia ha accertato accordi con la criminalità organizzata pugliese e con la camorra, per il contrabbando di sigarette. Con gli albanesi ci sono frequenti scambi, perfino nella concorrenza esasperata sul mercato del narcotraffico.
I mafiosi italiani, inoltre, considerano strategico un atteggiamento quantomeno di tolleranza verso i delinquenti rumeni. Gli obiettivi, del resto, non sono in contrasto. Cosa nostra, per esempio, esercita il racket sui commercianti e le imprese. I rumeni, invece, controllano la manodopera illegale nell'edilizia e in agricoltura. Poi hanno attivato un racket altrettanto odioso sulle presenze, nelle aree dismesse, di immigrati o sbandati. Lo ha rilevato la Dia: a intervalli regolari criminali rumeni, nelle aree del Nord, passavano a riscuotere sotto minaccia della violenza il pizzo, per consentire la presenza, magari in tuguri o abitazioni di fortuna, di poveracci che li avevano occupati.
La potenza malavitosa si è affermata definitivamente con la globalizzazione dell'attività. Nel narcotraffico, del resto, la Romania è considerata la porta d'ingresso nell'Ue per l'approdo delle rotte commerciali di stupefacenti in arrivo dall'Asia e dal Medio Oriente.
Mafia in trasferta a Bucarest
L'ultima novità l'ha scoperta lo Scico della Guardia di Finanza. A parti rovesciate: sono gli italiani ad andare in Romania. Complice, ovviamente, la delinquenza locale, e non certo quella di ultimo rango. Il sospetto è che ci siano in atto progetti di delocalizzazione di attività d'impresa: mafiose, naturalmente, anche allo scopo di riciclare proventi illeciti.
È la camorra, stavolta, a giocare le sue carte. Già molto attiva in Italia nel business della contraffazione, si è accorta che in Romania il 60% dei prodotti commercializzati sono falsi. Di certo c'è, per ora, che «sulla base di mirati input informativi – come spiega il colonnello Ignazio Gibilaro, capo della Scico – sappiamo che parte della produzione illecita di articoli contraffatti nel settore dell'abbigliamento è svolta in Romania sotto l'egida di cittadini di origine toscana e campana». Da lì la merce viene destinata ai mercati esteri, «prevalentemente Stati Uniti, Medio Oriente e Far East». Tra Italia e Romania, dunque, c'è anche import-export criminale.

 

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